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Nei primi decenni del
Trecento un gran numero di mercenari aveva già avuto modo di venire in Italia
al servizio di principi e di imperatori (come per esempio Enrico VII), e finite
le ostilità aveva deciso di rimanervi, organizzandosi in associazioni o
'compagnie' che facevano capo a un comandante di provata qualità, e offrendo i
propri servigi a signori o a liberi Comuni. Le oligarchie dominanti nei Comuni
e le Signorie, d'altra parte, trovarono molto conveniente e opportuno disarmare
le milizie cittadine e affidare il servizio armato a chi non aveva alcun
interesse nella conduzione dello Stato. La frammentazione politica alimentava
tra i vari Stati rivalità che sfociavano in guerre di breve durata ma molto
frequenti: l'Italia divenne così per le compagnie di ventura una specie di
'Paese di Cuccagna'. Le compagnie venivano assoldate con un minuzioso contratto
chiamato 'condotta', da cui derivò il termine di condottiero dato alloro comandante.
I mercenari, spesso di una stessa nazionalità, si univano in gruppi di carattere
omogeneo, e questo determinava il modo di combattere delle truppe: da un lato
ne facilitava la comunicazione e dall'altro ne aumentava l'efficacia in
combattimento. In effetti, i membri delle compagnie di ventura erano uniti da
un forte legame di cameratismo e dopo anni di esperienza condivisa erano ben
addestrati nella realizzazione delle tattiche di guerra. In un primo tempo le
decisioni erano prese da un organo collegiale formato dal capitano e dai suoi
luogotenenti, ma in seguito il condottiero assunse poteri quasi illimitati, con
diritto di vita e di morte sui suoi uomini. |
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