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Nel 1241 il regno di
Ungheria, retto dalla dinastia degli Arpad, subì i brutali attacchi delle orde
mongole di Batu khàn che devastarono la grande pianura, mettendo a ferro e
fuoco l'intero Paese. L'evento segnò così profondamente gli Ungheresi che
ancora oggi, per indicare ogni sorta di calamità, utilizzano il termine tatarjaras, 'invasione dei Tartari'.
Dopo la disfatta sulle rive del fiume Sajo, re Béla IV fu costretto a trovare
rifugio in Dalmazia (a Traù e Spalato) e poté fare ritorno in Ungheria solo
quando le truppe mongole si ritirarono in seguito alla morte del gran khan
Ògodei, che rendeva necessario il rientro di Batti a Karakorum. Una volta
ritornato in patria, Béla IV si dedicò alla ricostruzione del Paese ma non
riuscì a frenare lo sviluppo del sistema feudale in seno allo Stato né tanto
meno poté revocare i privilegi concessi ai magnati (barones) e alla piccola nobiltà dal padre e predecessore Andrea II
con la Bolla d'oro del 1222. Per porre un freno al potere dell'aristocrazia feudale,
Béla decise allora di appoggiarsi ai Cumani, una popolazione di origine turca giunta
in Ungheria dalle steppe asiatiche sotto la pressione mongola. A suggellare la
nuova alleanza, fu celebrato il matrimonio tra suo figlio, il futuro Stefano V,
e la principessa cumana Elisabetta. Il breve regno di Stefano V (1270-72), che
in precedenza era stato proclamato principe di Transilvania e signore dei
Cumani, fu caratterizzato dal tentativo di tenere a distanza l'arrogante aristocrazia
magiara con una suddivisione delle cariche militari tra i Cumani, che finirono
per costituire una specie di armata personale del sovrano, allestita in
funzione antinobiliare. |
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